L'ORSO E CECE' - Officine Arti

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L'ORSO E CECE'


Regia: Americo Melchionda
con Maria Milasi, Giuseppe Luciani, Americo Melchionda

Anton Cechov
(1860-1904) e Luigi Pirandello (1867-1936): due grandi drammaturghi portati alla ribalta con originalità creativa per stimolare nel pubblico studentesco curiosità artistiche e approfondimenti letterari.

Cecè
e L’Orso: due atti unici in commedia accostati in un’ora e trenta di esilarante buon umore.                                                             

Lo spettacolo rende omaggio ai due giganti che hanno rivoluzionato con la loro scrittura il gioco della messinscena teatrale rimanendo ancora oggi punti di riferimento fondamentali per poetiche e stili drammaturgici. Allestito appositamente per i giovani studenti attraverso una vivace regia  che mette in atto in modo innovativo i variegati ingredienti della commedia tradizionale con il coinvolgimento di attori di talento e pluriennale esperienza professionale, lo spettacolo continua ad attuare quel  processo di radicamento culturale dell’arte performativa del teatro tra le nuove generazioni, un percorso  che Officine Arti intraprende fin dalla sua fondazione. Che lo spettacolo abbia dunque inizio, con l’augurio che il teatro rimanga, prendendo a prestito le asserzioni di un altro gigante del teatro (G. Bernard Shaw), un tempio per l’elevazione dell’uomo.      


Cecè (1913)

Cecè, un simpatico viveur, è impegnato a recuperare delle cambiali donate pericolosamente come pegno d'amore ad una delle sue tante conquiste femminili. Squatriglia, grottesco appaltatore sopraggiunto per ringraziarlo di un favore (Cecè era riuscito a trovare una via più rapida per farlo ricevere da "Sua Eccellenza"), viene incastrato nel suo spudorato piano. Cecè, infatti, rifiutando da perfetto gentiluomo il denaro offertogli da Squatriglia in segno di gratitudine, utilizza con estrema abilità l’obbligo della riconoscenza per chiedergli in cambio una piccola cortesia: deve aiutarlo a recuperare da Nada, donna per nulla sprovveduta, le tre cambiali. Come? Recitando un ruolo. Il ruolo di un vecchio amico di famiglia che, disperato per la condotta riprovevole di Cecè che con la sua vita dissoluta getta quotidianamente nel lastrico fantomatici anziani genitori, supplica la donna di restituire le cambiali... insomma tutte menzogne che l’impacciato Squatriglia deve recitare alla presenza di Nada. Con Cecè nascosto in un'altra stanza, Squatriglia riesce affannosamente nell'intento: si fa consegnare dalla donna le cambiali per affidarle nelle mani dei presunti genitori di Cecè. Ed ecco un altro raggiro. Nada, che in realtà aveva ritornato le tre cambiali a Squatriglia solo per una sorta di orgoglio femminile intuendo fin dall’inizio lo squallido disegno che alla fine avrebbe fatto riavere le cambiali a Cecè, verrà ben presto persuasa da una falsa disperazione del nostro viveurche messo alle strette da Nada ribalta la situazioneIl povero appaltatore con un'altra menzogna di Cecè diventa, infatti, uno strozzino che ha inventato tutto per ricattarlo, e le cambiali consegnate ingenuamente da Nada nelle mani di quella canaglia sono diventate adesso un'arma pericolosissima che si ritorcerà contro Cecè: come recuperarle ? La donna, davanti all’abilità dell’uomo che si finge disperatamente vittima di un sinistro raggiro, finisce col sentirsi in colpa. Per farsi perdonare si riappacifica col mascalzonein cuor suo ormai tranquillo di aver già recuperato con quell'insolito stratagemma le fatidiche tre cambiali e la fiducia di Nada.


Note

Cecè è il primo atto unico ideato da Pirandello esclusivamente per la scena. Nei suoi personaggi si possono riconoscere quelle abitudini di vita non estranee allo spettatore di oggi così abituato , se non a possederle, a convivere con esse. Pirandello si diverte nel fotografare le strategie di millantatori carismatici che diventano le regole privilegiate in una società in cui i rapporti interpersonali sono guidati da una rete di meccanismi tutt'altro che disinteressati. Non più giudicate, diventano per lui materia di bonario sorriso da cui scaturisce la creazione di Cecè. Emblema di quel sottobosco di favori di un clima clientelare così diffuso nella capitale unitaria del primo periodo del Novecento, Cecè diventa sotto la penna dello scrittore un simpatico viveur conosciuto in ogni circolo, capace di dispensare favori a conoscenti e amici grazie ai suoi contatti politici e privati e di ottenere, con il suo savoir faire , in circostanze a lui utili, le dovute ricompense. Semplici scambi di favori. Ma tutto a tempo debito, e con la dovuta classe. La circostanza in cui Pirandello fa muovere i suoi personaggi è trattata con un brio e una leggerezza sicuramente insoliti nel suo stile. Siamo lontani dal suo teatro nel teatro,  anche se il gioco tra realtà e finzione è già presente; ma in qualche modo vicini al suo teatro grottesco, in cui l'ipocrisia borghese è smascherata con l'esplosione delle sue interne contraddizioni. Ma qui non è necessario che la verità venga fuori. Cecè riesce a cavarsela. È una pura commedia non esente da alcune poetiche pirandelliane. Anche in questa sua creatura il drammaturgo trova ad esempio lo spazio per il suo Uno, nessuno, centomila. Dice, infatti, Cecè a Squatriglia: "Ma così conosciuto da tutti ... chi posso veramente conoscere io? Ridi ah! Non è uno strazio pensare che tu vivi sparpagliato in centomila?".


L’Orso (1888)

L'orso è una breve opera teatrale in un atto unico di Anton Čechov. In questo piccolo gioiello, con un ritmo impeccabile e un intreccio ricco di particolari secondari che ne arricchiscono il gioco comico, l’ autore russo rende il tema dell’innamoramento come imprevedibile epilogo di un grottesco scontro nato da situazioni paradossali. Elena Ivanovna Popova, è una giovane vedova  che dalla morte del marito si è allontanata dal mondo chiudendosi in casa con il suo buffo e vecchio servitore, Luka. Il povero Luka, travolto ed esasperato dai lamenti della Popova rimasta fedele ad un uomo che in realtà era un mascalzone, cerca di scuoterla, ma la Popova continua a crogiolarsi nella sua grottesca condizione di vittima sacrificale. Una visita inaspettata rompe l’isolamento idilliaco della donna: un creditore del defunto, l’ex ufficiale di artiglieria Smirnov, esige in modo perentorio il pagamento di un grosso debito che l’estinto marito aveva contratto verso di lui. Infischiandosene delle tristi circostanze e trattando la Popova alla pari, chiuso com’è in una sua originale teoria misogina, Smirnov sciorina le sue ragioni usando verso la donna toni minacciosi. Da qui scaturisce una serie di andirivieni e colpi di scena rivelatori della straordinaria scrittura di Cechov che con perizia di dettagli caratterizza i due personaggi portandoli allo scontro finale sotto l’incredulità del timoroso Luka. La Popova, infatti, con una grinta inusuale per una donna, accetta la sfida lanciata dall’odioso Smirnov. “… vi sfido a duello!”, dice Smirnov ormai esausto; “Bene, scegliete le armi …”, risponde la Popova. Il duello fra i due, un’esilarante escalation di situazioni, ha un epilogo inaspettato. L’uomo senza scrupoli, intollerante verso le donne, si ritroverà ben presto intrappolato nella rete.

Note

L’Orso è stato scritto da Cechov insieme all’atto unico La proposta di matrimonio nello stesso anno del successo ottenuto per il suo racconto La Steppa (racconto che aveva finalmente consacrato la scrittura prolifera del giovane Cechov ad una fama così vasta da farlo accostare dalla critica contemporanea a Gogol’ e Tolstoj), ma dopo il fiasco temporaneo di Ivanov. Distante dalla drammaturgia dei suoi successivi capolavori (le Tre Sorelle, il Gabbiano, Zio Vanja, il Giardino dei Ciliegi), che dopo le prime incomprensioni da parte di pubblico e critica hanno imposto un nuovo modo di fare teatro (basti pensare al sommo Konstantin Stanislavskij che rappresentò con il Teatro dell’Arte le sue maggiori opere decretandone il trionfo), L’orso rivela lo stile particolarissimo di Cechov dotato di un’ inconfondibile  abilità nella composizione di brevi scherzi, vaudeville, considerati dalla letteratura teatrale di oggi piccole perle della scrittura in commedia. Puro divertimento insomma, scritto da un autore che nelle sue opere teatrali più grandi dipinge la tragedia della mediocrità come mancanza apparente di azione che inesorabilmente sacrifica i personaggi ad una gretta quanto malinconica abitudine di vivere, ma che qui ci regala vivaci ritratti di personaggi rimasti nella memoria della storia drammaturgica di tutti i tempi.

 
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